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Blade Runner 2049

Blade Runner 2049

La solitudine dei numeri primi.

Sull'onda di un movimento volto a scuotere per alcuni anni il panorama cinematografico a cavallo tra la fine degli anni Settanta e buona parte degli anni Ottanta, Ridley Scott si impose nell'immaginario fantascientifico dell'epoca consegnando al mondo due delle sue opere più intriganti e importanti: Alien e Blade Runner. Nonostante le atmosfere che si respirassero nei due film fossero completamente differenti, Alien e Blade Runner sono entrati nell'immaginario collettivo, diventando, ad oggi, due delle pellicole maggiormente rappresentative di quegli anni, rileggendo temi molto attuali dell'epoca - come il rapporto uomo-macchina, che sempre più stava prendendo piede con l'incedere incessante dei personal computer e delle nuove tecnologie, così come la paura per "lo straniero" e l'arroganza umana di spingersi oltre i propri confini, proprio come dei novelli Ulisse danteschi - sotto la lente d'ingrandimento del cinema di genere. Ed è curioso, diremmo forse singolare, che questo 2017 abbia assistito all'avvento non solo di uno, ma di ben due sequel/prequel ispirati a queste due pellicole, rispettivamente Alien Covenant e Blade Runner 2049.

Nel caso del primo, non nutrivamo particolari speranze, un aspetto che è stato poi tristemente confermato dalla nostra deludente visione. Nel caso diBlade Runner 2049, invece, le aspettative erano enormi: vuoi che alla regia ci fosse Denis Villeneuve, il quale è riuscito ad imporsi al grande pubblico con una serie di ottime pellicole (tra cui Prisoners e l'ultimissimo Arrival, con una straordinaria Amy Adams), vuoi che dal lontano 1982 nessun regista avesse mai osato mettere mano ad un'opera intoccabile come Blade Runner, l'idea che ci fosse un sequel ad una pellicola così estremamente audace e potente a suo tempo era una sfida che ci ha solleticato sin da subito. Se è vero che le attese fossero titaniche, dall'altra c'era anche tanta preoccupazione per gli stessi identici motivi di cui sopra: l'originale di Scott era approdato in un momento particolarmente decisivo per la storia del cinema, dando vita ad una riflessione e ad un dibattito su ciò che ci rende realmente umani e non macchine (o androidi o replicanti, qualsiasi sia il termine che preferite attribuirgli), un dilemma morale che trova nello spettacolare monologo conclusivo di Rutger Hauer la sua eccezionale e destabilizzante chiave di lettura, restituendo un film che, nonostante all'epoca divise in modo netto la critica, ha contribuito a conferirgli lo status di capolavoro a distanza di 35 anni.

Blade Runner 2049

Blade Runner 2049 non è Blade Runner, vogliamo stabilirlo sin da subito. Chiunque si stia preparando ad entrare in sala con il cuore ricolmo di speranza e a vedere una pellicola "copia-e-incolla" dell'opera originale di Ridley Scott, potrebbe rimanere profondamente deluso. Perché la pellicola di Villeneuve vuole risplendere di luce propria, non vuole limitarsi ad essere un "replicante" in versione aggiornata di qualcosa che abbiamo amato e imparato ad amare in tutti questi anni; non vuole essere un upgrade, dunque, o qualcosa volto ad accontentare il pubblico di fan del prodotto cinematografico del 1982. Blade Runner 2049 vive autonomamente rispetto al suo scomodo e imponente predecessore, è una pellicola che, nonostante strizzi l'occhio all'opera degli anni Ottanta in un paio di occasioni, vuole essere (e lo è) un film di Denis Villeneuve. E omaggiare un grande classico è ben diverso dal replicare pedissequamente quanto visto in esso, e Villeneuve osa optando per la strada del vero sequel, imponendo sin da subito la sua visione e il suo immaginario sul futuro distopico raccontato in origine da Philip K. Dick. La mano del regista canadese si percepisce sin dai primi istanti, dove l'attenzione e l'uso degli spazi vuoti, desertici, essenziali tende a ricalcare il vuoto interiore che accompagna con grande pesantezza il protagonista di 2049, il cacciatore di androidi Agente K (Ryan Gosling).

Gli esterni e gli scenari asettici e polverosi, che fanno da contraltare alla versione più colorata e al neon di una Los Angeles ultra-post-moderna (proprio come quella vista in Blade Runner, ma qui dai contorni ancora più distopici), sono tutti schiacciati da una cappa, una nebbia pesantissima, una sorta di metafora di quel velo di malinconia e solitudine che incombe e asfissia in modo incessante Agente K, così come i pochi altri personaggi rintracciati all'interno del film. La solitudine, esatto, un sentimento che pervade l'intera pellicola e che diventa anche la grande (e forse unica) protagonista di Blade Runner 2049. Gli uomini e le donne del 2049 sono anime perdute, costrette a muoversi come atomi impazziti in una cellula sul punto di esplodere, avvolti da cartelloni pubblicitari fluorescenti che incitano loro a non restare mai soli, a cercare compagnia. Ma una compagnia evanescente, inumana, accondiscendente. La nuova generazione di androidi, o di schiavi se preferite, prodotta dalle industrie Wallace di proprietà di Neander Wallace (Jared Leto) ha scopi differenti rispetto a quelli pensati dalla Tyrell Corporation nel primo film. Uomini da amare, donne da sognare e con cui condividere una sorta di vita amorosa di cartapesta, irreale, fittizia, impalpabile, in un mondo dove i sentimenti sono diventati qualcosa da esternare solo ed esclusivamente tra le quattro logore mura domestiche.

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Blade Runner 2049

L'analisi di questo tema - inteso come ossessione amorosa, quasi sessuale, per le nuove tecnologie - così moderno e contemporaneo (ma a nostro parere già affrontato con altrettanta inquietudine in una pellicola straordinariamente triste e complessa come Her/Lei di Spike Jonze, e non abbiamo citato il film a caso, fateci caso guardando il film), è forse l'aspetto più interessante che siamo riusciti a rintracciare in Blade Runner 2049. La mancanza di sostanza delle vite umane, di coloro che abitano queste città sconfinate e dai contorni vacui, è ciò che rende davvero tragica la pellicola di Denis Villeneuve, che però si traduce anche nella sua più grande debolezza. Blade Runner 2049 manca di un'anima forte, pulsante, originale, autorevole, come quella che aveva reso grande, a suo tempo, il primo Blade Runner. Per parafrasare una frase che il Tenente Joshi/Madame (Robin Wright) rivolge all'Agente K, parlando esattamente del concetto di anima, il più grande difetto della pellicola di Villeneuve risiede esattamente nel suo non saper "andare oltre", avere un'anima capace di procedere sulle sue gambe rispetto all'opera di Scott. Le motivazioni che spingono K a rintracciare l'Agente Deckard (Harrison Ford) dopo oltre trent'anni da cui si sono perse le tracce vengono diluite, mescolate e omogeneizzate all'interno di una riflessione sulla vuotezza e solitudine delle nostre vite che non riesce mai a trovare realmente un suo spazio profondo all'interno del film.

Ciò che intendiamo dire è che manca qualcosa, esattamente come quello straordinario monologo dell'androide Roy Batti sono la pioggia, che suggelli ciò che Blade Runner 2049 vuole realmente affrontare, dibattere, discutere. I suoi temi, che sono in realtà eccezionali, rischiano per tutto il tempo di perdersi, di intrecciarsi ad altro, a non trovare mai il giusto spazio per poter essere affrontati. Il problema, a nostro avviso, sta proprio nell'ossessiva necessità di Villeneuve di voler ribadire per tutto il film quanto questo sia realmente una propria opera, questa necessità ansiogena di voler prendere le distanze da Blade Runner, per cui nutre comunque grande rispetto, e dirsi e farsi prodotto autonomo. L'eccessiva attenzione allo stile che, per carità, ci restituisce qualcosa che è visivamente sublime, si impone con prepotenza su tutto il resto, lasciandoci tra le mani una confezione straordinaria, bella, d'impatto, ma che al suo interno è quasi vuota.

Blade Runner 2049 è un film notevole, preso di per sé, e su questo non abbiamo nulla da obiettare. Il problema subentra quando, volente o nolente, bisogna metterlo a confronto con l'opera di cui si fa sequel: nonostante, e questo ci preme ribadirlo, siano chiari gli intenti di non voler essere una mera copia carbone dell'originale e nel complesso si offra come film visivamente intrigante, manca di quella sostanza poderosa che ha permesso a Blade Runner di entrare di prepotenza nel nostro immaginario e renderlo, ancora oggi, uno dei capolavori inarrivabili del cinema di genere di quegli anni straordinari.

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07 Gamereactor Italia
7 / 10
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